GIOCARE E’ METTERE IN SCENA

GIAMPAOLO MAZZARA

 

Lo svilupparsi del gioco

Teatro, drammatizzazione, animazione teatrale nella scuola dell’infanzia, suggeriscono di soffermarci
sul valore del gioco, in particolare per il bambino tra i 3 e i 5 anni.
Senso primo dell’attività ludica è la gratificazione diretta, ma allo stesso tempo, attraverso il gioco si
scopre e si sperimenta il mondo circostante, si apprendono le regole e il modo di governare la realtà.
L’immaginazione rende più rassicurante affrontare situazioni non ancora ben conosciute. Il gioco dà la
possibilità di scaricare su giocattoli o oggetti del quotidiano ansie, paure, tensioni, insicurezze; di
scoprire abilità e provare gratificazione dal raggiungere gli obiettivi attesi.
Prima di arrivare alla scuola dell’infanzia, il bambino ha trascorso il suo tempo esplorando e
manipolando gli oggetti, provando piacere attraverso movimento e percezione sensoriale (gioco senso motorio).
Nel successivo gioco simbolico è presente un’attività di pensiero, carica di elementi soggettivi ed
egocentrici, che gli permette di soddisfare desideri tramite azioni sostitutive. Un cuscino rimanda al
“fare la nanna”, il bambino lo usa per fingersi addormentato o per richiamare l’attenzione dei genitori
su quel momento. In seguito lo stesso oggetto potrà servire a far dormire la sua bambola e più tardi,
immaginare qualcun’altro coinvolto nel suo gioco.
Il conseguente gioco con regole gli offre la possibilità di giocare con gli altri, assumendo ruoli distinti
e imitando il mondo degli adulti.

 


Il piacere di mettere in scena


Al momento di coinvolgerlo in una “attività teatrale”, il bambino ha simulato azioni concrete (primi
giochi di finzione); utilizzando i giocattoli per il loro scopo reale (il cucchiaio per mangiare) ha
cominciato a “far finta di”; è divenuto capace di elaborare gli oggetti (15-21 mesi) e ha individuato un
“altro” (oggetto o persona) come partner del suo gioco.
Intorno ai 2 anni, dopo aver classificato gli oggetti, inizia a creare, sorprendendo per la molteplicità di
giochi ai quali può dare vita.
Tra i 2 e i 3 anni scopre nuovi giochi di finzione, usa oggetti con finalità diverse dalle loro reali (pettina
i capelli della bambola con il bastoncino del tamburo). Permane la funzione effettiva dei giocattoli, il
bambino sa che quel bastoncino non è una spazzola, ma aumenta la crescita cognitiva e la
sperimentazione.
All’inizio della scuola dell’infanzia ha fatto importanti esperienze, scoperto molto di sé, abilità e
risorse.
Verso i 4-5 anni sa interpretare delle parti e può assumere dei ruoli; potrebbe anche averlo visto
durante uno spettacolo a scuola, in TV o a teatro con i genitori. Il figlio di Federica (3 anni) prosegue a
casa, coinvolgendo mamma e papà nell’incessante “replica” dei Tre porcellini: messa in scena sulla
coperta stesa nel salotto, costruzione di casette e interpretazione di ruoli a rotazione.
I bambini provano grande piacere a elaborare storie sempre più complicate. Sostengono parti di cui
non hanno ancora piena consapevolezza, ma che permettono loro di rendersi conto di come il mondo li
vede e dei diversi modi di vedere il mondo. Ne consegue l’aumento della capacità di percepirsi nella
tridimensionalità spazio-temporale, favorendo il superamento dell’egocentrismo.

 


Il laboratorio teatrale


Un laboratorio teatrale realizzato nella scuola dell’infanzia vede i bambini protagonisti di una serie di
azioni articolate, che vanno a sviluppare caratteristiche di pensiero e di azione, capacità e desideri, il
piacere di fare.
Mettersi alla prova giocando a “far finta di”, offre la possibilità di ottenere conferme su se stessi, sul
proprio esistere in relazione e di acquisire sicurezze necessarie per affrontare situazioni diverse.
Il movimento viene valorizzato primariamente: da libero e spontaneo, si struttura progressivamente
attraverso una molteplicità di linguaggi espressivi, semplici e accessibili.
Una metodologia basata sull’esplorazione e sulla scoperta concede spazio a “momenti di vita”
originali, irripetibili, dando valore all’esperienza, al “qui e ora”, al processo in ogni sua fase, evitando
faticose ripetizioni che perdono di vista la dimensione del gioco e del piacere connesso. Naturalmente
la valorizzazione di quanto accade nello “spazio del fare teatro” non esclude l’opportunità di un
piccolo prodotto finale.

I bambini entrano nella stanza.
La esplorano liberamente, correndo e urlando per riconoscere questo luogo, per occuparlo e renderlo
proprio.
Indossano un cappello. Si muovono come fa un pirata, una fatina, il vigile, il torero, il portalettere, un
signore elegante, la coccinella, Arlecchino, un pompiere, un toro.
La magia del giocare, del mettere in scena.
Affondano le mani nel “baule misterioso” delle stoffe. Le guardano, le annusano, le fanno svolazzare.
Ne scelgono una, la drappeggiano intorno al corpo.
Ecco la Principessa sfilare sotto gli occhi di un Lupo ricoperto di una rugosa stoffa nera.
Il Toro, lui pure nero ma lucido, sfida la muleta di una Principessa che indossa una cappa rossa.
Fatine e Cowboy, Principi e Vecchine si incontrano in un susseguirsi di azioni che sono gioco e sono
teatro.
Sono finzione e realtà, emozione e fantasia.
L’immaginazione, il movimento, il gesto, l’azione si sono incontrati per divenire piccoli grandi
frammenti di vita, in questo luogo qualsiasi che è diventato “scena”.


Il teatro è assunto come approccio pedagogico orientato alla conoscenza di sé e del mondo circostante.
Si inserisce nel lavoro impegnativo svolto da educatori e insegnanti, valorizzandone il ruolo e la
competenza con un loro inserimento attivo nelle varie fasi.
L’improvvisazione è centrale, ma la libertà espressiva rischia di perdere consistenza se non si appoggia
alla “tecnica”. Questa consente lo sviluppo delle risorse presenti nei singoli e nel gruppo,
l’elaborazione dell’esistente, degli stimoli che vengono dai bambini, delle situazioni che si
determinano nel qui e ora dell’intervento e delle tematiche previste dal progetto didattico.
In gioco competenza, sensibilità, creatività dell’educatore, ma ancor più la formazione specifica basata
su “saper fare” e consapevolezze che si incontrano con intenzioni e idee.
Spesso la ricerca di conferme tramite il prodotto ottenuto non permette di rispondere con l’attività
teatrale ai bisogni dei bambini, oltrepassa le loro reali possibilità, non tenendo conto del desiderio e
diritto di giocare. Non si tratta di addestrare “piccoli attori in erba”, né di affidarsi a operatori che “si
mettono in scena” e concedono minimi spazi di azione spontanea e autonoma.


Gli oggetti, lo spazio, il tempo


L’uso creativo degli oggetti favorisce la conoscenza del mondo interno e di quello in cui si è immersi.
L’oggetto, mediatore tra il bambino e l’ambiente, svolge una funzione di supporto per tollerare le
contraddizioni (né me né l’altro), costituisce lo spazio psicologico su cui far incontrare le varie parti di
sè, il mezzo attraverso cui esprimere, e allo stesso tempo nascondere ciò che non può, o non ancora
può essere mostrato.
L’incontro con un oggetto durante momenti di gioco non è una “riproduzione” di relazioni oggettuali
“altre”, ma è l’esperienza relazionale che nasce e si sviluppa nel qui e ora dell’azione.


Dario ha 3 anni. Indossata la mascherina nera, corre all’impazzata per la stanza, si avvicina mi punta
gli occhi addosso e afferma trionfante: “Io sono Lupo!”.
Nel gioco è diventato il “lupo”, ha assunto un ruolo mediato da un oggetto. Nessuno glielo ha
suggerito, ha navigato nella sua memoria e attraverso l’immaginazione, scoprendo la possibilità di
essere un “personaggio” nato in questo momento, in questo posto, dall’interazione con le persone e le
cose che lo circondano.


Spazio e tempo si coniugano nell’azione; se il primo dovrà essere facilmente praticabile e riconoscibile
per rassicurare i bambini, il secondo terrà conto delle esperienze personali, delle loro esigenze e di
quelle dell’ambiente. Spazio e tempo reale si intrecciano con la loro versione immaginata e
immaginaria.
Sono le coordinate su cui si scrivono frammenti di storie irripetibili, rese possibili dal mettere in scena
se stessi, il mondo interiore, le fantasie e i vissuti che accompagnano il quotidiano.


Siamo nel pieno della vivace “missione” alla scoperta di un “teatro vero”.
Linda, riccioli biondi, occhi sbarrati su quel mondo nuovo. Sussurra solo poche parole, quasi soffia i
suoi “io”, “si”, “no”, “lì”.
Partecipa in punta di piedi, sembra temere di essere troppo al centro. Esegue quanto le si chiede solo
appena accennando l’azione, ma dopo aver accettato di fare la musica (con strumenti a percussione)
dalla prima fila della platea, cerca il mio sguardo, indica i compagni che stavano ballando sul
palcoscenico, e dice “Io, là!”.

 


Per approfondire
Lodi M. e Meduri P. (1982). Ciao teatro. Roma: Editori Riuniti.
Mazzara G. (1990). L’isola felice. Torino: Omega Edizioni.
Winnicott D. W. (2005). Gioco e realtà. Roma: Armando Editore.

 


Pubblicato in Rivista Scuola dell’Infanzia, Giunti Scuola, 2016.